Piemonte. Multa fino a 5.000 euro per l’insegna di ‘Sala giochi’: lo prevede la legge regionale sul gioco d’azzardo
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Il semplice utilizzo di una insegna con su scritto ‘Sala Giochi‘ può comportare una sanzione fino a 5.000 euro. E’ quanto prevede la Legge Regionale 9/2016 “Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico”,il provvedimento varato dal Consiglio regionale del Piemonte contro la ludopatia e per prevenire il gioco compulsivo.
Il chiarimento arriva direttamente dagli Uffici della sede regionale per i quali anche l’installazione di un’insegna con la scritta “Sala Giochi” rientra nel divieto “di qualsiasi attività pubblicitaria, relativa all’apertura o all’esercizio delle sale da gioco e delle sale scommesse o all’installazione degli apparecchi per il gioco di cui all’articolo 110, commi 6 e 7 del R.D. n. 773/1931. Una insegna di questo tipo risulta infatti idonea “a rendere conoscibile al pubblico l’esistenza dell’esercizio oggetto della previsione di legge”.
Si dà il caso, però , che tra gli apparecchi comma 7 del R.D. n. 773/1931 siano compresi videogiochi e similari che, con il gioco d’azzardo hanno davvero poco a che fare.
Ma soprattutto da quando la definizione di ‘Sala giochi’ si può considerare riferibile esclusivamente al gioco d’azzardo? Di ordinanza in ordinanza rischiamo di cadere davvero nel ridicolo.
Via quindi tutte le insegne, a scanso di equivoci e nella speranza che , nel frattempo, qualche zelante ‘controllore’ non decida di interpretare alla lettera la norma in questione.
Un breve ‘amarcord’ sull’utilizzo delle insegne
La norma adottata dalla Regione Piemonte conquista il primato di primo esempio di intervento normativo sull’utilizzo delle insegne degli esercizi di gioco. Dobbiamo infatti tornare al ‘lontano’ 2010 per ritrovare una indicazione che faccia riferimento alle ‘denominazioni’. Allora furono i Monopoli di Stato, con una circolare a firma del Direttore Antonio Tagliaferri, a precisare che l’utilizzo ‘improprio’ della denominazione ‘Casinò’. In quel caso venne fatto presente che questa denominazione contrasta con l’oggetto della convenzione di concessione, è in contrasto con la tutela delle fede pubblica oltre a non essere conforme ai principi della concorrenza professionale.